9:06
30 Novembre -0001
Introduzione.
Giocare a Scacchi è un modo per confrontarsi con sè stessi e con gli altri.
Ma il termine 'confronto' in una frase come 'giocare a Scacchi ci fa confrontare con il lavoro del nostro cervello' sembra un po’ strana. Purtroppo, anche se crediamo di conoscere il nostro cervello meglio di chiunque altro (è il “nostro cervello”, dopo tutto!), non abbiamo un facile accesso alle sue enormi capacità. Questa nota difficoltà è un problema costante di tutta l’intera storia degli studi filosofici e psicologici sui nostri poteri cognitivi .
Le scienze cognitive (la psicologia cognitiva, gli studi sull’intelligenza artificiale, la neurologia, la neurobiologia, la filosofia ed altre) e la tecnologia moderna (personal computers, Internet…) hanno fatto passi da gigante.
Ma, in qualità di Medico specialista anche in Neurologia, ho riscontrato la totale assenza di studi scientifici volti alla soluzione di domande vecchie, ma sempre attuali, per uno scacchista:
- Le nuove conoscenze , cognitive e tecnologiche, servono allo scacchista che vuole migliorare a Scacchi?
- Le nuove conoscenze hanno gettato nuova luce su differenti metodi di allenamento? O forse ne suggeriscono di nuove e diverse?
- Gli studi sui processi decisionali inconsci hanno qualche valore per il flusso del pensiero dello scacchista?
- Un miglioramento significativo di uno scacchista è possibile utilizzando le nuove tecnologie (chess engines) o sono preferibili tecniche puramente psicologiche?
- Il talent è un concetto superato, dopo l’introduzione e lo sviluppo delle moderne tecnologie (chess engines, databases) o tutti possiamo diventare Grandi Maestri?
Questo post ed i successivi (eventualmente) vuole essere una spinta a futuri lavori scientifici sul cervello degli scacchisti, partendo da un presupposto confermato da diverse ricerche: il cervello dei 'nativi dlgltali” è dlverso da quello di chi non frequenta la Rete. Pertanto, il cervello di uno scacchista del XXI secolo è diverso in aspetti sostanziali, rispetto alle generazioni precedenti. L’uso delle tecnologie moderne (chess engines, ossia i motori che sanno “giocare a Scacchi”) trasforma le emozioni, la concentrazione, la memoria.
In questo lavoro intendo non solo sottolineare gli aspetti cognitivi delle questioni sul tappeto, ma anche dare un contributo pratico alle teorie sul pensiero e sul miglioramento scacchistico, che qui anticipo: secondo me, l’unico modo per imparare bene gli Scacchi è lavorare su posizioni concrete, senza l’ausilio di supporti tecnologici.
Bene, cominciamo il nostro viaggio all’interno della nostra mente. Non credo di poter convincere nessuno a buttar via i nostri “compagni di silicio”, ma almeno avrò instillato qualche ragionevole dubbio sulla loro reale utilità!
CAPACITA’ COGNITIVE DEGLI SCACCHISTI
Gli effetti negativi sono molti.
1) Concentrazione.
Larry Rose, psicologo della California State University: chi passa troppo tempo su Facebook mostra con più frequenza disturbi comportamentali e tendenza narcisistiche. Bisogno ossessivo di controllare ogni tre-quattro minuti l’account sui social network.
2) Memoria.
Betsy Sparrow, psicologa alla Colombia University, spiega su “Science” come Internet sia diventata una memoria esterna dove immagazzinare informazioni, a scapito di quella naturale. Perchè memorizzare un compleanno se c’è Facebook? Perchè ricordarsi di un appuntamento se c’è un apposito promemoria di Google?
3) Comprensione.
Maryanne Wolf, psicologa alla Tufts University: lo stile di lettura tipico dei testi digitali privilegia l’immediatezza e l’efficienza a scapito della complessità. Quando leggiamo online siamo semplici decodificatori di informazioni ed esperienze altrui, perdendo la capacità di interpretare un testo in tutta la sua ricchezza e profondità.
4) Attenzione.
Nora Volkow, National Institute of Drug Abuse: chi fa multitasking (contemporaneamente controlla la mail, parla al telefono...) ha più difficoltà a distinguere le informazioni rilevanti da quelle inessenziali. Un problema che si manifesta anche quando smette di navigare sul web.
Questa breve disamina degli studi scientifici apre, a mio modesto parere, questioni rilevanti per lo scacchista (N.B. con tale termine indico solo lo scacchista a tavolino, On The Board).
Successivamente posterò altre osservazioni, per dimostrare la tesi di fondo: l'abuso di chess engines e di blitz online riduce la capacità plastica delle nostre reti neuronali (dalla minor quantità di neuro-trasmettitori chimici prodotti alla vera e propria atrofia di neuroni deputati alla "comprensione scacchistica"). Anticipo subito il tema di fondo: dove termina l'uso e dove comincia l'abuso? E' discorso simile all'assuefazione da alcool, sigarette od altri tipi di droga! Ma, per ora, ho già messo troppa carne sul fuoco!
9:43
7 Maggio 2012
Io gioco a scacchisti.it o su chesscube qualche volta a 15, 10 o 5 minuti massimo, chiaramente qualche partita al giorno (facciamo 5 al giorno) è un danno? Non lo so se lo sia,sicuramente giocare a 2 o 1 minuto penso che non abbia senso. All'inizio giocavo con i computer di scacchi ma poi li ho trovati noiosi, a tavolino è molto più divertente.
Però ci sono circoli in alcune città che aprono solo una volta o due a settimana, forse qualche città non ha neanche circoli, quindi chi si avvicina a scacchi vede nel computer o nel blitz online qualcosa di molto affascinante.
Non so se i computer di scacchi rovinano i giocatori ma un dato è certo, da quando faccio gli esercizi di tattica e strategia che lei mi ha dato mi accorgo che ora vedo tatticismi che mai mi sarei sognato di vedere. Quindi penso che staccarsi dai computer di scacchi per esercitarsi sulla buona e vecchia scacchiera sia una buona cosa.
4:09
30 Novembre -0001
Proseguo il discorso.
Se usiamo il metodo della comparazione tra i risultati descritti nel post precedente ed i fenomeni tipici osservabili nei soggetti che fanno uso eccessivo di motori scacchistici ( “giocatori per corrispondenza”, attività paragonabile alla “masturbazione intellettuale” ben nota alla psicologia classica), possiamo evidenziare disturbi analoghi: carenza di concentrazione e/o attenzione (“il mio motore è sempre vigile”), deficit della memoria a breve-lungo termine ("perché imparare la teoria delle aperture, se ho un megadatabase a disposizione?"). Ma possiamo andare oltre! Forse l’abuso di databases non ci rende stupidi, ma certo produce un carico di informazioni che a volte resta incagliato nei meandri del nostro cervello, e ci appesantisce quando si tratta di prendere decisioni. Gli esperimenti di Angelika Dimoka, direttrice del Center for Neural Decision Making della Temple Univerisity, sono un buon indicatore del fenomeno.
Dimoka lo ha verificato chiedendo a un gruppo di volontari di partecipare a una sorta di asta, prendendo in esame, prima di effettuare l'offerta, una serie di variabili così da ottenere la migliore combinazione al prezzo più basso.
All'aumentare del numero di parametri da tenere in conto, aumentava anche il numero
di offerte sbagliate. E analizzando il loro cervello con la risonanza magnetica
funzionale, la ricercatrice si è accorta che al crescere del carico informativo,
aumentava anche l'attività della corteccia prefrontale dorso laterale, la regione
responsabile dei processi decisionali e del controllo delle emozioni. Superata una
certa soglia di parametri da considerare, però, l'attività di quell'area cerebrale subiva un drastico calo, come se le troppe informazioni generassero una sorta di black out cognitivo durante il quale i partecipanti all'asta non riuscivano a formulare offerte congrue, e mostravano segni di ansia e stanchezza mentale. Non dev'essere un caso se nella sua edizione del 2009 l'0xford English Dictionary ha inserito tra i lemmi la "information fatigue", la sindrome da stanchezza informativa, tipico prodotto dell'era di Internet. Ed è questa una tipica “malattia” dello scacchista moderno, assediato da databases e chess engines dalle multiple personalità. Questi tipi di softwares, che simulano la partita contro differenti personalità, sono senza dubbio i più deleteri per il processo scacchistico di “decision making”: il disgraziato che li utilizza, infatti, abitua il suo cervello a scegliere la mossa in base alle aspettative create dal software.
Interrompo qui, per ora.
8:26
10 Giugno 2013
Le macchine sono un prodotto del genio umano che da sempre hanno favorito le generazioni nel facilitare le loro attività. I software scacchistici sono un sostegno specifico al gioco degli scacchi. Non è certo la loro nascita ed evoluzione quanto il modo in cui vengono utilizzati a determinare la qualità del loro ruolo. Pensiamo ad uno scacchista che, solido nella tecnica e nella strategia ma carente nella gestione del tempo, si allena ad un minuto contro la macchina nei finali di partita per velocizzare la sua risposta. Pensiamo ancora all'allenatore che voglia suggerire al proprio allievo una nuova linea per una sua apertura in torneo ed alla capacità di una potente macchina nell'analisi della stessa. Ancora… Questo stesso sito nasce grazie alla tecnologia informatica e permette a migliaia di appassionati di confrontarsi, studiare, giocare, ricevere lezioni e consigli dalla comunità scacchistica ma sopratutto dal Maestro Tarascio. Chi vive in piccoli paesi non sogna nemmeno di avere la fortuna di essere seguito da un maestro per la sua crescita scacchistica. Oggi ha la possibilità, con questo mezzo, di abbattere le barriere che lo limitano. A proposito di barriere, conosco un ragazzo tetraplegico, appassionato del gioco degli scacchi da sempre. Non può parlare e non può muovere nulla del suo corpo tranne il collo. Indica il movimento dei pezzi con il naso. Viene aiutato dai suoi amici che trovano però difficoltà nel capire quale pezzo vuole muovere e dove. Quanto sarebbe facilitato questo ragazzo dall'ausilio di uno strumento dedicato come face mouse (un software di riconoscimento del micro-movimento)?
Non è la tecnologia a distruggere la mente ma sono le menti condizionabili a non capire come utilizzarla.
Sono convinto che uno scacchista appassionato debba ricercare l'anima di questo sport. Decodificare l'attività scacchistica come mezzo per la crescita personale è, a mio parere, il modo più corretto per affrontare questa disciplina. Il superamento dei propri limiti; questo dovrebbe essere il fine. Un obbiettivo raggiungibile attraverso il gioco e quindi divertendosi come farebbe un bimbo che con facilità e senza stress impara dall'attività ludica. Come ogni sportivo lo scacchista può usare ogni ausilio per potenziare le proprie capacità; al resto penserà la natura. Chi utilizza la tecnologia nella maniera sbagliata non crescerà quanto il collega che si allena correttamente. I suoi risultati non saranno gli stessi. Ciò che lascerà ai posteri non sarà oggetto di studio.
8:36
30 Novembre -0001
9:01
30 Novembre -0001
MESSAGGIO NELLA BOTTIGLIA.
Per le generazioni future di Scacchisti
I progettisti di chess engines, dall’ingegnere informatico all’ultimo dei geometri, lo hanno promesso: vogliono costruire motori capaci di giocare a Scacchi in maniera sicura e autonoma, quasi senza bisogno di intervento umano!
Il problema è che tale progetto non è neutrale rispetto al nostro gioco ed alla nostra stessa umanità: rischia di consegnarci a una sudditanza acritica verso la tecnologia. Perciò sento il bisogno impellente, urgente, di lanciare un “messaggio nella bottiglia” alle generazioni future di scacchisti.
La produzione di chess engines è cresciuta come la promessa ottocentesca di liberarci dal lavoro ripetitivo e dalle mansioni manuali (meno intellettualmente stimolanti) sostenuta dal «mito della sostituzione» (ovvero, che sia possibile automatizzare un compito senza alterarne la natura). Purtroppo, la nostra accettazione di questo ordine di idee è stata sinora volontaria, perfino gioiosa. Troppo ingenua, visto che non abbiamo imparato a vederne le conseguenze indesiderate. Eppure, sono già sotto ai nostri occhi!
I giocatori di “Scacchi normali” stanno disimparando a giocare: dal mio osservatorio privilegiato di istruttore, osservando le partite che mi inviano le categorie nazionali italiane, è sempre più evidente l’incremento degli errori umani al crescere della pigrizia mentale cui è costretto un giocatore “auto-allenatosi” con un motore scacchistico.
Ma questo è solo un aspetto della questione.
Nel confondersi di umano e automatico non mutano solo le capacità di apprendimento umane: i programmatori di chess engines vogliono mutare il concetto stesso di automazione, al punto che la stessa idea di ‘controllo umano’ delle analisi del motore comincia a sembrare anacronistica e che in molti dei motori commerciali odierni il software può perfino scavalcare gli input del giocatore. Insomma, “il computer ha l’ultima parola». Questa è la parola d’ordine da combattere, a mio parere!
I motori, nei Forum/Fogna, stanno rimpiazzando i commenti dei Grandi Maestri. E a trarne beneficio, secondo i fautori di questo trend, in un contesto di disuguaglianze crescenti, sono principalmente i pochi che possiedono i computer più moderni e costosi, i padroni degli algoritmi. L’illusione di un Eden automatico persiste tra gli scacchisti di basso livello (la maggioranza, ahimè) a causa della credenza erronea che i motori non possano sbagliare, a cui si accompagna un falso senso di sicurezza sulle loro prestazioni, talmente potente da allontanarci dal mondo Reale degli Scacchi. Sembra come nel 1995, quando il sistema Gps di una crociera con 1.500 persone a bordo si guastò, ma nessuno se ne accorse per 30 ore, nonostante gli indizi visivi che la rotta non fosse quella stabilita. Ma le conseguenze sui nostri processi di comprensione del mondo scacchistico, anche a livello neurofisiologico, dovrebbero farci comunque riflettere.
Studi scientifici hanno mostrato che ragionieri che usano software di revisione dei conti più complessi sviluppano una comprensione minore dei fattori di rischio rispetto a chi ne usa di più semplici. Lo stesso si ripete per i «sistemi esperti» che aiutano i professionisti nel decision-making: i novizi ne beneficiano nel breve termine, ma si impigriscono col passare del tempo.
Su Internet è lo stesso. La funzione che completa le nostre chiavi di ricerca su Google invece di affinare le domande le ha rese più stupide. Non solo: l’avere sempre qualunque informazione a un clic di distanza «indebolisce la nostra memoria di ciò che accade», dice una serie di esperimenti pubblicata su “Science” nel 2011, perché i motori di ricerca sostituiscono sempre più i nostri processi di codifica e immagazzinamento dei ricordi, finendo per atrofizzare i circuiti neurali che servono per recuperarli e insieme interiorizzarli.
Alcuni passaggi possono esservi sembrati eccessivi, o prematuri. Pensare per esempio che i motori scacchistici possano finire per erodere il vostro desiderio di comprendere il mondo degli Scacchi, o che consultare databases rischi di rubarvi la gioia e la soddisfazione di scoprire novità teoriche può sembrare un atteggiamento luddistico, di sguardo nostalgico verso il passato.
E anche i pericoli per la vostra memoria, con addirittura un incremento della possibilità di sviluppare demenza, faranno ancora discutere gli amanti dei motori scacchistici.
Credo che occorra tornare a una automazione «antropocentrica». Ed è semplice: basta rimettere il controllo delle funzioni critiche nelle mani del vostro cervello umano a intervalli irregolari (potendo dover intervenire sempre, si resta più vigili); porre dei limiti ai motori scacchistici fin dal design del sistema, lasciando le funzioni più sfidanti e creative all’umano; incorporare nei motori la possibilità di mantenere le sfumature, le incertezze e l’imprecisione delle decisioni umane.
Semplice ma solo se diventa un obiettivo esplicito e condiviso da noi Scacchisti Normali, questo il messaggio della bottiglia.
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